Archivi e città, “Paolo Monti e Modena”

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Si può datare all’autunno del 1960, con il Convegno di Gubbio, la nascita in Italia di una concreta sensibilità verso la salvaguardia e il risanamento dei centri storici delle città italiane, concreta in quanto condivisa tra tecnici della progettazione architettonica e urbanistica da un lato e istituzioni ed amministrazioni pubbliche dall’altro. Già con il lavoro per il PRG di Assisi, avviato nella seconda metà degli anni ’50, Giovanni Astengo aveva messo un forte accento sul centro storico della città; pochi anni dopo sarà Giancarlo De Carlo nel PRG di Urbino a porre come fulcro portante del piano stesso il valore e le potenzialità del centro storico del capoluogo marchigiano, il primo in Italia di cui veniva prefigurata l’intera pedonalizzazione. Tuttavia le diverse ma sostanzialmente analoghe traversie a cui andarono incontro queste operazioni urbanistiche pionieristiche mostrano come in quegli anni la città era più che mai terreno di scontro aperto in un’epoca fortemente segnata dal boom economico e demografico, dinamiche che pesavano in maniera determinante.

Guardando a distanza di 50 anni e più, forse un po’ schematicamente si può dire che da quel momento sui centri storici italiani si è giocata la partita della loro ‘borghesizzazione’ (quelli del mestiere la chiamano gentrificazione) in forza di due tendenze opposte ma alla fine collaboranti. Se da un lato gli architetti e gli urbanisti spingevano per il recupero e la tutela del centri storici (quasi ovunque costituiti da un patrimonio edilizio antico e fortemente degradato, in cui si viveva in condizioni di salubrità assai precarie quando non nella promiscuità e nell’indigenza); dall’altro operatori del settore immobiliare e costruttori, con la connivente sinergia della politica, premevano per dar sfogo alla nuova domanda abitativa in zone di espansione residenziali fuori dai centri storici, dove la realizzazione di un patrimonio edilizio nuovo sarebbe stata in grado di soddisfare i bisogni suggeriti dai nuovi modelli di consumo e la promessa di migliori standard abitativi. Si produsse così nel giro di pochi lustri un progressivo svuotamento della funzione residenziale dei centri storici, a beneficio della crescita delle nuove periferie urbane, e il contestuale progressivo risanamento e recupero del patrimonio edilizio antico, ovvero un radicale aumento dei suoi valori immobiliari che portò all’insediamento nel centro storico di una nuova classe sociale, con maggiore capacità di spesa, oppure all’espansione nel nuovo centro storico di funzioni diverse dalla residenza, dai servizi al commercio (la così detta terziarizzazione), attività sempre legate alla vita delle classi borghesi. Il centro storico così finisce di essere un quartiere popolare.

Un’occasione buona per riflettere su questi temi e, più in generale, sui cambiamenti nel medio e lungo termine che vivono le città dove abitiamo, a volte senza guardarle, ci è dato da un’interessante operazione del Comune di Modena che ha deciso di valorizzare un patrimonio fotografico dal grande valore civico conservato nelle proprie collezioni con il progetto “Paolo Monti e Modena / 1973-2023”. Presso la “Biblioteca civica di arte e architettura Luigi Poletti” si trova infatti la raccolta di immagini consegnata dal fotografo Paolo Monti a seguito dell’incarico avuto dall’Amministrazione comunale nel 1973 di condurre su Modena un rilevamento fotografico del centro storico. Non era una novità. Coinvolto inizialmente da Andrea Emiliani per condurre alcune campagne fotografiche nell’appennino emiliano, Paolo Monti aveva già svolto un rilievo fotografico del centro storico di Bologna a cui, oltre a quello di Modena, erano seguite altre analoghe operazioni in altri centri emiliani. Si trattava di ricognizioni conoscitive dei valori spaziali e iconografici, a livello di paesaggio urbano, funzionali agli studi e alla redazione di strumenti urbanistici. Il centro storico veniva fatto oggetto di osservazione fotografica in un momento cruciale, all’alba di una sua grande trasformazione di senso.

Tutte le fotografie di Paolo Monti sono state georeferenziate e pubblicate in rete in un portale dedicato ( https://monti.comune.modena.it ) dove trovano adeguato spazio anche testi esplicativi della vicenda e del contesto in cui era maturata oltre che una presentazione biografica di Paolo Monti. Una parte del progetto ha visto poi al lavoro l’artista e fotografo Francesco Fantoni che ha scattato nuovamente dopo cinquant’anni una selezione delle immagini di Paolo Monti evidenziando i cambiamenti intervenuti nello spazio urbano, dalla qualità dei manufatti, all’occupazione e agli usi dello spazio: le coppie di fotografie a confronto Monti-Fantoni sono in mostra dal 1 dicembre 2023 fino al 1 aprile del 2024 presso il chiostro della Biblioteca civica Delfini (oltre che visibili in una apposita sezione del portale in rete e stampate in un piccolo ma prezioso catalogo della mostra).

Il pregio del progetto “Paolo Monti e Modena / 1973-2023”, ideato e realizzato da Silvia Sitton, del Settore Cultura del Comune di Modena, con Francesco Fantoni stesso, è soprattutto di non indulgere alle venature nostalgiche del ‘come eravamo’ cercando piuttosto di offrirsi come occasione e strumento di appropriazione da parte dei Modenesi della propria città. Dove ‘appropriarsi’ della città vuol dire prendere coscienza che è un’entità in continua mutazione, sotto la spinta di dinamiche sociali e processi economici; che non è una condizione da dare per scontata e sta anche ai cittadini provare a orientarne le trasformazioni senza che vengano lasciate all’esclusiva competenza di tecnici e amministratori o agli interessi particolari degli operatori del settore immobiliare.


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